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Channel: mangiare greco - cucina greca con tutte le ricette tipiche
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fusi di pollo con pasta al forno

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Se per caso vi foste trovati ad Atene negli anni ’70, se vi fosse venuta voglia di cucinare un pollo, se foste soli e dovevate cucinare soltanto per voi,  sappiate che per fare spesa  dovevate andare dalla mia mamma!
Eh si, la mia mamma era una grande innovatrice e precorreva i tempi! Quando tutti ma tutti  vendevano i  polli soltanto ed esclusivamente interi, mia mamma ha avuto l’idea di tagliarli a metà, e poi anche a quarti, a richiesta, petto o coscia, e venderli a pezzi. Con grande disappunto dei suoi colleghi negozianti, che a loro dire viziava e clienti e deformava il mercato. “Ma che ci posso fare se viene una donna  che vive da sola e vuole il pollo?” rispondeva lei. “Che se ne fa di un pollo intero, se lo mangia per 4 giorni di fila?” rispondeva mia madre, calcolando che all’epoca non tutti avevano il freezer.
Visto il successo di mia madre, pian piano anche gli altri negozianti hanno cominciato a  vendere quarti di pollo! Benedetta concorrenza!
Sicchè, a ragione veduta, mia madre ha dato inizio a un modo diverso di intendere il commercio e di trattare il cliente, pensando che quest’ultimo ha sempre ragione. Beh, quasi…..
Per questo piatto ho usato le chilopites, pasta tradizionale greca, ma si può usare qualsiasi pasta, meglio all’uovo e meglio corta, ma all’occorrenza va bene tutto!


Ingredienti:
-          3 fusi di pollo
-          150 gr. di chilopites
-          qualche cucchiaio di olio evo
-          sale
-          pepe macinato fresco
-          mezza  tazza da tè di passata di pomodoro
-          brodo di pollo (in alternativa acqua)
-          1 cipolla bianca tritata
-          mezza tazza da tè  scarsa di vino bianco
-          un pizzico di cannella in polvere
-          pecorino semi stagionato grattugiato
Procedimento:
In una padella versiamo dell’olio evo e a fuoco vivace rosoliamo ben bene  i fusi di pollo. Li togliamo, abbassiamo la fiamma  e mettiamo la cipolla che facciamo appassire a fuoco dolce. Sfumiamo con il vino e quando l’alcool sarà evaporato versiamo la passata di pomodoro diluita in poca acqua. Saliamo, pepiamo, uniamo il pizzico di cannella  e facciamo cuocere per una decina di minuti. Uniamo i fusi di pollo e cuociamo ancora per 15 minuti, girandoli un paio di volte.
Oliamo una teglia da forno, mettiamo il pollo con la salsa e aggiungiamo la pasta sistemata bene intorno ai fusi.  Versiamo sopra 2 tazze di brodo o di acqua e inforniamo per circa 20 minuti a 180 gradi. Controlliamo che non asciughi troppo. Nel caso, aggiungiamo un poco di brodo o di acqua bollente.
5 minuti prima di fine cottura spargiamo il formaggio. Sforniamo e serviamo caldo con del formaggio grattugiato a parte.
Piatto unico, si intende, ma ovviamente  accompagnato da un’insalata verde è d’obbligo direi.





orata con patate e pomodorini al forno

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Nell' era omerica il pesce  non era considerato un alimento di primaria importanza a differenza dai frutti della terra coltivata. Il mare era considerato un ambiente pieno di incognite e pericoli come testimoniano delle  raffigurazioni dell’epoca geometrica  in cui si vedono  naufraghi divorati dai pesci .  I compagni di Ulisse mangiano il pesce soltanto quando rischiano di morire di fame. (odissea m-329).
Nell’epoca classica però  le cose cambiano radicalmente. Il mare continua ad essere pieno di pericoli ma l’uomo ha imparato a valutarli attentamente. Il pesce ha ormai un ruolo importante nell’alimentazione dei greci. Il mestiere del pescatore comunque è sinonimo di povertà, dato che l’esito dipende dal tempo e dalla fortuna. Sono gli dei  in realtà a benedire le reti dei pescatori, così i corfiati hanno devoluto parte del guadagno di un ottimo pescato per dedicare un toro di rame al tempio di Delfi, come testimonia Pausania.

Nell’Atene del 4 e 5 secolo a.C, la maggioranza dei cittadini che non apparteneva alle classi ricche, consumava abbondanti quantità di pesci piccoli, come sarde e papaline che erano considerati un alimento primario. Si ritiene  che il loro prezzo fosse  calmierato per ragioni politiche. I marinai si nutrivano fondamentalmente di pesce  conservato sotto sale.
Dai produttori di pesce sotto sale ha cominciato a svilupparsi una regolare “industria di pesce in conserva” che trovò la sua massima espansione  durante il periodo dell’impero romano.  All’interno di questa industria si può collocare anche la produzione del garum, a Pompei.
Nella parte opposta della scala dei prezzi, si trovano i pesci pregiati, non accessibili all’ateniese medio, rivolti esclusivamente ai consumatori ricchi. Nelle commedie di Aristofane si trovano  diversi riferimenti.

 

Ingredienti:
-          2 orate 
-          2 patate grandi
-          5/6   pomodorini
-          abbondante prezzemolo tritato
-          sale
-          pepe nero macinato fresco
-          1 tazzina da caffè scarsa di olio evo
-          pecorino stagionato grattugiato
Procedimento:
Lavare le patate e metterle a lessare in acqua fredda per 10 minuti  contando da quando stacca il bollore. Lavare i pomodorini e asciugarli. Pulire e squamare il pesci, lavare sott’acqua corrente e tamponare con carta assorbente per asciugarli. Spalmare un po’ di sale e pepe nero all’interno della pancia.
Sbucciare le patate e tagliare a rondelle. Versare 3 cucchiai di olio evo in una teglia da forno e spargere 1/3 del prezzemolo tritato.  Coprire il fondo della teglia con uno strato di patate, spargere del pecorino grattugiato e appoggiare sopra i pesci. Versare un terzo di prezzemolo, un poco di sale e pepe e coprire con il resto delle patate. Finire con il resto del prezzemolo e del pecorino grattugiato.  Sistemare  qua e à i pomodorini e versare sopra il resto dell’olio.
Infornare per 30 minuti a 180 gradi.


 credits: krasoblog


pumpkin balls

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…. E ora ditemi una parola, una qualsiasi parola, e io vi dimostro come la radice di quella parola sia greca!....
Se il signor Portokalos del mio “grosso grasso matrimonio greco” con mirabolanti funambolismi è arrivato a dimostrare che il kimono deriva dal greco himonas (inverno), a me non ci è voluto tanto per affermare che la parola pumpkin sia di origine greca.
Prima di dimostrarlo però, devo confessare che la prima volta lo lessi in un sito greco; in primis ho pensato che l’autore dell’articolo soffrisse della sindrome  di Portokalos, ci ho fatto una risata e non ci pensai più. Mi è venuto in mente qualche tempo dopo e ho voluto fare una piccola ricerca che ha confermato quello che lessi nel sito greco e all’autore del quale vanno le mie umili scuse.....
Ecco qui dunque: dal greco “peponi – melone” che diventò pompon presso i francesi, successivamente pumpion presso  i brittanici e infine pumpkin presso gli statunitensi.


Ingredienti:
-          500 gr. di zucca gialla giù pulita
-          100 gr. di patate
-          1 uovo
-          50 gr. di pecorino stagionato grattugiato
-          80 gr. di scamorza affumicata tagliati a tocchetti
-          2 cucchiai di pangrattato
-          poco sale
-          rosmarino tritato fine
-          pangrattato per la panatura
-          olio di arachidi per friggere
Procedimento:
Tagliare a fettine la zucca e metterla a cuocere nel forno a 180 gradi per circa 20 minuti o anche di più se serve, finchè non diventi morbida. Lessare le patate e sbucciarle. Schiacciare la zucca e le patate e metterle in una pentola. Mettere su fuoco basso e far andare per una decina di minuti mescolando spessissimo, per asciugare ulteriormente. Trasferire in una ciotola e quando si saranno un po’ raffreddate, aggiungere l’uovo e amalgamare. Unire il pecorino grattugiato, il pangrattato, il sale e il rosmarino. Per ultimo aggiungere la scamorza. Lavorare bene l’impasto che deve risultare abbastanza sodo, coprirlo e sistemare in frigo per per un’oretta.

Scaldare abbondante olio in una padella. Togliere l’impasto dal frigo e formare delle polpette delle dimensioni desiderate. Rotolare nel pangrattato e friggere  finchè non diventino dorate.
Servire caldissime.



corsi e ricorsi

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Nel 1989 l’indimenticabile e indimenticato  Manos Hatzidakis (compositore di musica leggera) rilasciò un’intervista che tra le altre cose diceva: “… in ultima analisi non dimentichiamoci che le uniche volte che ci siamo comportati come nazione sono state durante le catastrofi. Ben venga dunque una catastrofe, forse ci salveremo…”.
La catastrofe che auspicava Hatzidakis è arrivata sotto le non mentite spoglie della crisi che attanaglia il paese da 5 anni a ‘sta parte.
Ma  siccome come non tutti  i mali vengono per nuocere -  sempre fidarsi dei detti - ci sono anche effetti positivi. Come dire…. effetti collaterali…..  Uno di questi  è sicuramente il ridimensionamento dei consumi, del life style nella sua accezione peggiore, della riscoperta di mestieri  dimenticati,  ritenuti quasi disonorevoli e lasciati agli  immigrati che a frotte arrivavano nella  Grecia che fu. Ora gli immigrati scappano (se devo far la fame preferisco farla a casa mia, si dicono e ci dicono giustamente….) lasciando i greci a riparare scarpe e  vestiti e a ingegnarsi su come sopravvivere.


La  rivista inglese “the gourmand” ha dedicato un articolo al mestiere di “salepitzis” ad Atene, con il titolo “abbiamo sorseggiato il salepi  fino alla sua estinzione”. L’estinzione non si riferisce al salepi ma al salepitzis che secondo l’autore  dell'articolo è un mestiere ormai praticato da pochi anziani  e destinato  a pochi clienti anziani pure loro, dato che i giovani non conoscono  la “miracolosa bevanda”.
Una  passeggiata nel  centro di Atene però  offre un panorama diverso . Nella via più commerciale della città, la Ermou, dall’incrocio con via Voulis fino alla Kapnikarea  ci sono 4 giovani salepitzis fissi,  e una chiacchierata con loro dimostra che gli ateniesi  , quelli che la conoscevano,  non l’hanno dimenticata e quelli che non la conoscevano, i giovani cioè, stanno imparando ad apprezzarla. Così, diventa sempre più frequente incontrare della gente con in mano il bicchiere da passeggio che anziché contenere caffè come ci hanno trasmesso  gli americani, contiene  il salepi, riscoprendo una bevanda antica, molto popolare   in Turchia da dove è arrivata anche in Grecia, e dove si produce industrialmente perfino dalla nestlè, a conferma del suo largo consumo.

La bevanda in sé è molto semplice avendo la materia prima, il salepi, composta da tuberi di orchidea essiccati, tostati e macinati a farina.  Si scioglie la farina in acqua o latte bollente,  si zucchera a piacere, si sparge sopra cannella o zenzero in polvere ed è fatta. La bevanda è tipicamente invernale e  io già che fa freddo corro a prepararmene  una  dato che il salepi grazie ad amici generosice l’ho!
  

credits:  lifo
                the gourmand

calamari ripieni di feta

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Fino al 1876  il mercato di  Atene era costituito da alcune baracche vicino al foro antico ma già da diversi anni il comune si era resto conto della necessità  di  un mercato comunale. Con un editto reale è stata definita l’area in cui sarebbe sorto e i lavori sono cominciati nel 1878 con capitali del benefattore Ioannis Varvakis.
I lavori procedono lentamente e un incendio nel 1884 a est del mercato in costruzione che ha distrutto le baracche del mercato vecchio ancora in funzione, ha contribuito a rallentare ulteriormente i lavori.
La necessità di completare il mercato era impellente e con un'accelerata  in nuovo mercato è stato consegnato alla cittadinanza nel  1886. Da allora funziona ininterrottamente e negli anni 1979 – 1996 è stato gradualmente ristrutturato. 
Con i suoi innumerevoli negozi dove si può trovare qualsiasi cosa, ma proprio qualsiasi, è un must go ad Atene. Situato  tra Monastiraki e piazza Omonia, conosciuto meglio come “Varvakios agorà” merita assolutamente una visita così come merita di fermarsi per mangiare a uno delle 4 trattorie che servono tra le altre cose trippa e  zuppa di frattaglie e dove si sono seduti personaggi come Melina Merkouri, Andreas Papanderou, Vassilis Tsitsanis. 

Ingredienti:
-       10 calamari
-       10 bastoncini di feta
-       un mazzetto di maggiorana, origano e menta tritati
-       10 pomodorini tagliati a metà
-       un cucchiaio di capperi dissalati di cui la metà tritati
-       4 cucchiai di olio evo
-       sale
-       pepe nero macinato fresco
Procedimento:
Togliamo i tentacoli dai calamari, togliamo dalla sacca le interiora e la cartilagine e laviamo bene. Mettiamo in uno scolapasta per far colare l’acqua e nel frattempo puliamo le teste. Tagliamo appena sopra l’occhio, teniamo i tentacoli e buttiamo il resto. Laviamo i tentacoli li tamponiamo per asciugare e li tritiamo grossolanamente. Se desideriamo togliamo la pellicina marroncina dai corpi ma perchè poi?
Mettiamo in un piatto il trito di erbe, i capperi tritati, i tentacoli e un cucchiaio di olio. Mescoliamo e rotoliamo i bastoncini di feta. Prendiamo un calamaro alla volta e infiliamo nella sacca il bastoncino di feta. Chiudiamo con uno stuzzicadente e sistemiamo in una teglia da forno.
Versiamo sopra il resto dei capperi, sistemiamo i pomodorini, saliamo e pepiamo leggermente, versiamo il resto dell’olio e del trito di aromi e cuociamo nel forno , in modalità grill per circa 10 minuti a 190 gradi. Controlliamo la cottura perché il tempo dipende dalla grandezza dei calamari. Quando saranno morbidi togliamo dal forno.

soutzoukakia di ceci e bulgur

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 I soutzoukakia sono polpette di carne in salsa di pomodoro di cui la versione più conosciuta e amata è quella di Smirne. Hanno preso il nome dalla loro forma a salsicciotto, difatti sucuk in turco è la salsiccia, ma la desinenza è tutta greca dato che -akia è un diminutivo.
Salsicce piccole quindi, e qui ho optato per una versione vegan e riporto qualche notizia su uno dei primi vegetariani del mondo occidentale.

I vegetariani in Europa anche dopo il periodo classico  continuavano a  chiamarsi  “pitagorici ” per via del matematico e filosofo Pitagora, il quale nel  6 secolo a.C. , insieme ai suoi seguaci si asteneva dal  consumo di carne. Il vegetarianismo , prima della costituzione della vegetarian  society dal pioniere del veganismo  Donald Watson, si chiamava alimentazione pitagorica (pythagorean diet).
Un riferimento del “Deipnosofistai” (opera considerata un manuale di gastronomia del greco Athineos)  a Pitagora sostiene che i pitagorici molto probabilmente hanno trovato soluzioni alternative anche per i sacrifici degli animali agli dei,  fabbricandone statue da sostanze vegetali.
I pitagorici seguivano un’alimentazione vegetariana  sia per ragioni di salute  per mantenere cioè in equilibrio i 4 temperamenti del corpo  sia per ragioni etiche. Secondo Ovidio, Pitagora  disse: “finchè l’essere umano continuerà  a distruggere gli esseri  viventi, non conoscerà mai  né salute nè pace. Finchè  uccide  animali, continuerà ad ammazzarsi l’un l’atro. Difatti, chi semina la distruzione non può raccogliere gioia e amore”.


Ingredienti:
-          200 gr. di ceci
-          50 gr. di bulgur
-          1 cucchiaio di tahini
-          mezzo cucchiaino raso di cumino
-          1 spicchio di aglio tritato
-          sale
-          pepe
-          prezzemolo tritato
-          olio per friggere
-          farina 00 per infarinare
Per la salsa:
-          1 tazza da the di passata di pomodoro
-          un bicchierino di vino rosso
-          1 spicchio di aglio schiacciato
-          2 cucchiai di olio evo
Procedimento:
Mettere in ammollo i ceci per 24 ore.   Mettere in ammollo il bulgur per 2 ore. Scolare ceci e bulgur e tritarli nel cutter.  Versare in una ciotola e aggiungere aglio, tahini, prezzemolo, sale, pepe e cumino. Amalgamare bene lavorando con le mani e mettere in frigorifero per un’ora. 
Preparare la salsa di  pomodoro  facendo appassire in una padella  l’aglio nell’olio. Toglierlo l’aglio , versare la salsa di pomodoro e il vino. Cuocere per 10 minuti.
Prendere l’impasto di ceci dal frigo e formare delle polpette a forma di salsicciotto.  Infarinare leggermente e friggere in un’ altra  padella in olio bollente.  Quando saranno rosolate e metterle nella padella con la salsa e cuocere a fuoco basso per 20 minuti circa.



sale in zucca

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I greci non hanno l’abitudine di cambiare i nomi dei personaggi dei fumetti, dei romanzi, delle storie.  Forse, vista la fatica che a volte si fa a riprodurre i suoni  in caratteri greci sarebbe più comodo cambiarli tout court come si fa spesso  in Italia. Ma in genere non lo fanno, e io apprezzo.
Cosi, se poteste leggere un “topolino” in greco, trovereste Mickey Mouse, Minnie,  Goofy,  Donald Duck,  Scrooge  Mcduck,  Daisy, e via dicendo.
Come nella storia riportata in questo numero dove  dei manigoldi tentano di rubare il raccolto di zucche che nonna Duck sta trasportando insieme a Donald.


Ingredienti:
-          mezzo chilo di zucca (si intende già pulita)
-          1 patata media
-          1/2 porro tritato (solo la parte bianca)
-          1 scalogno tritato
-          zenzero fresco tritato
-          un generoso pizzico di cumino e uno di curcuma
-          sale
-          qualche cucchiaio di olio evo
-          sale
-          brodo vegetale
-          ricotta salata
Procedimento:
Cuocere la zucca  e la patata al vapore finchè non diventino abbastanza morbide. Tagliare a tocchetti. Far appassire il porro, lo scalogno e lo zenzero nell’olio. Aggiungere la zucca e la patata e far insaporire.
Mettere le spezie, salare,  mescolare, versare  250 ml di brodo caldo, coprire e cuocere  a fiamma bassa. Ritirare quando le verdure si  saranno disfatte. Volendo, frullare.

Servire con  della ricotta salata grattugiata.




manitaropita / pita con i funghi

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I  primi contatti  con i fiumi e i boschi ho cominciato ad averli in Italia; i primi approcci con i pesci di fiume e con i funghi ho cominciato ad averli in Italia.  Le quattro cose andavano insieme, i fiumi i boschi i pesci e i funghi, seguendo il papà di mia figlia che è un gran pescatore e un gran conoscitore di funghi.
Dopo qualche anno però mi sono stancata e ho smesso di seguirlo (francamente pescavo anche io con qualche discreto risultato)  ma qualche pesce appena pescato  oppure un bel misto di funghi appena raccolti, qualche rara volta continuano ad arrivare alla mia tavola e io ci faccio una pita, come un italiano farebbe un sugo per la pasta!!!


Ingredienti:
Per la pasta:
-          5 cucchiai colmi di farina 00
-          2 cucchiai di farina di lenticchie
-          2 cucchiai di olio evo
-          1 cucchiaio di vino bianco secco
-          sale
-          1 bicchiere da vino di acqua tiepida sul caldo
Per il ripieno:
-          300 gr. di funghi freschi
-          1 pugnetto di porcini secchi
-          1 pugnetto di riso (io ho messo il vialone nano)
-          50 gr. di provolone dolce
-          1 uovo
-          erba cipollina tritata
-          prezzemolo tritato
-          1 scalogno tritato
-          sale
-          pepe bianco  macinato fresco
-          3 cucchiai di olio evo + 2 per oliare la superficie + 1 per oliare la teglia
Procedimento:
Per prima cosa preparare l’impasto. Prendere 2 cucchiai colmi di lenticchie e ridurle in farina nel cutter. In una ciotola setacciare la farina 00 con la farina di lenticchie e versare l’olio, il vino e il sale. Incorporare l’acqua poca alla volta e lavorare l’impasto per una decina di minuti, fino a diventare liscio ed elastico. Data la presenza della farina di lenticchie va da sé che la consistenza e l’elasticità sono diverse da quelle che si ottengono con la farina 00 o 0 quindi l’impasto resta un po’ ruvido. Fare una  palla, ungere le mani con dell’olio evo, oliare l’impasto e metterlo a riposo per un’ora coperto.
Mettere a mollo i funghi secchi. Tagliare i gambi se duri, e spazzolare i funghi freschi con uno spazzolino morbido, in alternativa usare un panno. Tagliarli grossolanamente a pezzi.  Scolare i funghi secchi e tagliare pure questi .  Filtrare l’acqua, scaldarla e tenerla calda.  In una padella far appassire lo scalogno nell’olio e versare tutti i funghi. Far appassire pure questi a fuoco basso mescolando qualche volta e versare il vino. Alzare un poco la fiamma per far evaporare l’alcool e dopo un paio di minuti versare il riso. Mescolare e far cuocere per una decina di minuti. Nel caso servisse, versare un poco dell’acqua dell’ammollo dei porcini  per non far asciugare troppo. Salare, pepare e unire l’erba cipollina e il prezzemolo. Per ultimo aggiungere il formaggio, mescolare e ritirare dal fuoco. Lasciare raffreddare.


Prendere l’impasto, dividerlo in due (un pezzo leggermente più grande dell’altro e tirarlo con il mattarello nelle dimensioni della teglia dove si andrà a cuocere la pita. Lo strato sotto deve essere leggermente più grande per poter ripiegare i bordi sul ripieno. Oliare la teglia e stender la pasta. Versare sopra il ripieno e distribuirlo uniformemente. Sbattere un uovo e versarlo sul ripieno. Stendere il secondo pezzo della pasta, coprire il ripieno, oliare con un pennello e con un coltello affilato incidere la pita senza andare fino il fondo. Questo lo facciamo per dar modo ai vapori del ripieno di fuoriuscire e non far diventare molliccia la pasta.

Accendere il forno a 200 gradi e infornare per 10 minuti. Trascorsi questi, abbassare a 180 e far cuocere ancora per altri 30 minuti.



mydopilafo sul Bosforo (riso con le cozze)

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Avevo appena espresso il desiderio di vivere a Istanbul, ed eccomi accontentata!  Spesse volte basta chiedere. E anche se avrei preferito farlo dal vivo, per ora mi accontento di viverla attraverso gli occhi di Maria Ekmetsioglu, cuoca  e proprietaria di un ristorante proprio a Istanbul.
Maria parla un greco fluente, corrente, anche se dall’accento si intuisce che fa parte di quella minoranza greca, molto nutrita una volta esigua ora. A questo proposito, mi sento di suggerire il bel libro del giallista greco Petros Markaris, “la balia”, a chi vuole avere un idea di quello che fu e che ora è la presenza greca nella città.



Maria ci porta in giro per Istanbul, il Bosforo, le isole dei Principi nel mar di Marmara e ci fa conoscere profumi, sapori, colori, paesaggi,  persone e ricette di una città vitale, ammaliante, languida, arricchendo i racconti con le sue memorie, ed episodi della sua vita quotidiana.
Per questa prima volta, perché tutto fa presagire che non sarà l’unica che propongo una sua ricetta, ho scelto un riso con le cozze il “mydopilafo”, semplice e squisito e se voleste guardare il video, anche se in greco, non credo ve ne pentireste!


Ingredienti:
-          1 retina di cozze
-          1 tazza da tè di riso parboiled
-          1 pugnetto di pinoli
-          1 pugnetto di uvetta sultanina
-          1 scalogno tritato
-          mezzo bicchiere di vino bianco secco
-          aneto tritato
-          mentuccia tritata
-          1 pizzico di cannella
-          misto di pepe (bianco, nero, rosso, verde)
-          4 cucchiai di olio evo
-          1 noce di burro
Procedimento:
Mettere  a mollo l’uvetta in acqua fredda e passare alle cozze. Pulirle con un coltellino dalle incrostazioni, togliere la barbetta,  lavarle sott’acqua corrente e metterle in un tegame con un dito di acqua  a fuoco basso. Quando  si saranno aperte toglierle dal tegame,  filtrare l’acqua con un colino fitto oppure meglio ancora con un filtro da caffè e tenere caldo. Buttare le cozze che non si sono aperte. Togliere i frutti dalle valve e metterli in una ciotola. Volendo, tenere qualche valva per la decorazione.
Tostare i pinoli in una padella antiaderente senza aggiungere grassi.  In una pentola far appassire lo scalogno con l’olio evo e il burro. Versare il riso e tostare. Sfumare con il vino e dopo un paio di minuti versare le cozze, i pinoli e l’uvetta scolata e strizzata. Dare una mescolata e versare l’acqua delle cozze fino a coprire quasi  il riso. Macinare del pepe, aggiungere il pizzico di cannella,   coprire la pentola e far cuocere fino all’assorbimento dell’acqua. Ci vorranno circa 12 – 13 minuti ma dipende ovviamente dal riso. Verso fine cottura aggiungere le erbe aromatiche tritate senza mescolare. Mescolare a fine cottura e servire con del pepe a parte.
Nota: non serve salare, l’acqua delle cozze è parecchio salata.





buono in tutti i sensi

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Se ci fosse bisogno di un ulteriore motivo perché vi mettiate a impastare, ve ne fornisco io uno. Anzi, non io, ma il vincitore del programma Break British Bake Off  il quale  soffriva di una grave crisi depressiva come dichiarò lui stesso.  Impastare ha funzionato meglio del prozak disse e invita tutti quelli che soffrono di disturbi dell’umore di  darsi a questa attività. “Mettetevi a impastare e vedrete i risultati."
L'argomento è serio, non è mia intenzione trattarlo alla leggera, inoltre mi mancano le cognizioni per poterlo fare in modo adeguato, ma anche soltanto in forma di notizia credo che valga la pena riportarlo. 
Può la panificazione inserirsi tra le attività per curare le  persone che soffrono di disturbi dell'umore? In Inghilterra rispondono di si.
Uno dei responsabili dell' ente no profit “Baking a Smile”   dichiara che sono  in tanti a rivolgersi all'organizzazione  cercando aiuto.  E sono diversi i nuovi panifici in tutta l’Inghilterra che sorgono con lo scopo di  aiutare le persone con questi tipi di disturbo o con altre difficoltà attraverso la panificazione. Il Better Health Bakery, a Hagerstown, a est di Londra, offre lavoro  a persone con disturbi psichici, il Bread Maker ad Aberdeen è un organismo sociale  che fa acquisire esperienza a 24 adulti con problemi di apprendimento, mentre il Dough Devils a Manchester, offre lavoro a ex carcerati.
Circa un quarto della popolazione nel corso della vita è destinato a soffrire di qualche disturbo psichico o di umore,  pesante o leggero, secondo una recente indagine inglese, così queste iniziative che includono la panificazione tra le loro attività sono in grado di aiutare migliaia di persone. 

E non credo ci sia bisogno di soffrire di disturbi dell'umore per decidere di  darsi alla panificazione. Creativo, liberatorio, terapeutico e supergoloso!

credits: gastronomos


kalimera

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Chi cerca trova  si dice,  e io ho trovato.  Il negozio me l’aveva segnalato qualche mese fa un lettore del blog, ma finora non ho avuto modo di andarci dato che le mie attività come la mia casa sono da tutt’altra parte di Milano. Ieri invece mi sono trovata in quella zona  e mi sono decisa.
Ho trovato quindi!!!  ilhalloumi, le pites, (quelle vere, autentiche greche) per il souvlaki, birre, dolmadakia  e finalmente un  salume greco,  un salame di quel tipo che si chiama “salami aeros” cioè stagionato all’aria, senza precedenti bolliture.

Queste sono le cose che ho comprato, ma ce ne sono tante altre, anche se per una greca come me mancano alcune  fondamentali tipo il pastourmas, il taramas, i loukoum, il caffè, chissà.... in futuro...... anche se mi rendo conto che dal punto di vista strettamente commerciale non siano molto appetibili! :(
Intanto mi concentro su quello che mi darà grandi soddisfazioni nei prossimi giorni e segnalo di mia volta il negozio.
Kalimera – via Sammartini, 39  - tel. 0266713353


  

so greek!

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Non penso si pensasse che avrei pensato di postare qualcosa che non contenesse il halloumi!!!! :)
Bado alle ciance quindi!

SPIEDINI DI POLLO E HALLOUMI

Ingredienti:
-          mezzo petto di pollo
-          100 gr di halloumi
-          2 pites per souvlaki
-          1 pomodoro tagliato a rondelle
-          anelli di cipolla bionda
-          prezzemolo  spezzato con le mani


Per la marinata:
-          mezza tazzina da caffè di olio evo
-          1 cucchiaino di senape piccante
-          1 cucchiaio di aceto bianco (io ho messo aceto di melagrana)
-          pepe bianco macinato fresco
-          fior di sale
-          un pizzico di origano   
Procedimento:
Emulsionare tutti gli ingredienti della marinata e mettere il petto di pollo tagliato a bocconcini a marinare per qualche ore in frigorifero.
Tagliare il halloumi a bocconcini delle dimensioni del pollo. Togliere il pollo dalla marinata, scolarlo  e preparare gli spiedini  infilzando   alternativamente  pollo e halloumi.
Oliare leggermente la piastra, mettere su  fuoco medio, adagiare gli spiedini leggermente spennellati con la marinata e cuocere per circa 15 minuti girandoli un paio di volte.
Tagliare nel frattempo la cipolla ad anelli, spezzettare il prezzemolo, tagliare a rondelle il pomodoro.
Togliere dalla piastra gli spiedini quando saranno pronti. Scaldare sulla piastra stessa le pites e impiattare:
pita, spiedini, anelli di cipolla, rondelle di pomodori leggermente salati, prezzemolo e un filo di olio.

Nota: il halloumi è parecchio salato, andare piano con il sale.
Nota: il halloumi è un formaggio cipriota, così presente nella cucina greca che ne fa parte imprescindibile.



ekmek kadaifi

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Cosa hanno in comune il piatto greco più famoso nel mondo e questo dolce molto meno famoso, anzi, diciamo per nulla famoso al di fuori della Grecia?
Cosa ha in comune il moussakas  che è un piatto salato con l’ekmek kadaifi che è un dolce?
L’origine, rispondo io che lo so!!!! :)  L’uno e l’altro hanno origini turche, ma per quanto riguarda il moussakas è la versione greca che è diventata famosa, quel  piatto di melanzane e carne che i greci hanno  stratificato e arricchito con la besciamella e i formaggi.
Esattamente quello che hanno fatto con questo dolce che nella sua versione originale è fatto da una sorta di pane dolce imbevuto di sciroppo e servito con la crema kaymak.  E’ invece in Grecia che ha assunto questa versione ricca e lussuriosa con la pasta kadaifi come base, la crema pasticcera e la panna montata.  Per la par condicio quindi, mi aspetto che anche questo diventi famoso famosissimo super famoso!!!
Per la verità pensavo che questa versione greca fosse un’europeizzazione del dolce attuata da Nikolaos Tselementès, come ha fatto con il moussakas    ma mi sbagliavo. Nel suo ricettario propone una versione  molto simile a quella di origine.


Ingredienti:
Per la base:
-          150 gr. di pasta kadaifi
-           50 gr. di burro sciolto
Per lo sciroppo:
-          1 tazza  da thè di zucchero semolato
-          1 tazza da thè di acqua
-          1 cucchiaino di succo di limone
-          scorza di limone
Per la crema:
-          mezzo litro di latte
-          2 cucchiai  di amido di mais
-          2 tuorli
-          1 baccello di vaniglia raschiato (in alternativa essenza di vaniglia)
-          2 cucchiai di zucchero semolato
Per il topping:
-          250 ml. di panna da montare
-                            -              60 gr. di zucchero a velo
Per finire:
-          mandorle pelate e tostate
Procedimento:
Per prima cosa preparare la base. Se la pasta kadaifi è congelata, cosa che mi sembra ovvia essendo in Italia, metterla a scongelare. Separare attentamente i fili, non ci devono essere grumi o fili appiccicati, poi distribuirli in 2 vaschette di cm. 13 x 10. Sono quelle che ho usato io, ovviamente voi potete scegliere una grande. Versare  sopra  a cucchiaiate il burro sciolto e infornare  a 180 gradi per circa 10 minuti. Appena la pasta avrà preso un bel colore biondo scuro togliere dal forno e lasciare raffreddare.
Preparare lo sciroppo versando  l’acqua, lo zucchero e la scorsa in un pentolino e far bollire per  8 – 9  minuti.  Aggiungere il succo di limone e far bollire ancora per un minuto.  Ritirare dal fuoco, togliere la scorza di limone, lasciare raffreddare  un poco  e versare  sulla pasta kadaifi che nel frattempo si sarà raffreddata.
Versare un poco di latte (prendendolo dal mezzo litro) in un pentolino che possa andare sul fuoco  e sciogliervi l’amido di mais. Scaldare il resto del latte in un pentolino insieme ai  semi della vaniglia. Sbattere  i tuorli  con lo zucchero e aggiungerli al latte con l’amido di mais. Versare il latte caldo mescolando bene cercando di non formare dei grumi e mettere sul fuoco.  Cuocere mescolando continuamente finchè non si addensi. La consistenza dovrebbe essere poco più densa della crema pasticcera. C’è chi usa aggiungere un poco di semolino per renderla più stabile, ma a mio parere la appesantisce quindi  evito.
Quando la crema è pronta, ritirare dal fuoco e versare sulla pasta kadaifi livellando bene. Mettere in frigorifero per qualche ora finchè non si stabilizzi bene.
Montare la panna con lo zucchero. Distribuire sulle vaschette livellando bene, a piacere fare delle decorazioni e rimettere in frigorifero.
Le mandorle vanno distribuite al momento di servire.

Nota: se si vuole farlo ma non si ha la pasta kadaifi poco male! Va bene del pane, secondo me calibrando bene poi lo zucchero nello sciroppo va bene anche una fetta di pandoro, di panettone, delle brioche tagliate a fette oppure da provare con i capelli d'angelo. Perchè no?





diversamente souvlaki

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Al momento di comprare le pites, la ragazza del negoziomi disse: “sono in pacchi da 25 ma io faccio anche  pacchi da 10”. “Un pacco da 10” dissi io,  pensando che sono già troppe. Mica posso mangiare 5 – 6 souvlaki  in un mese.  Sono arrivata a casa quindi e le ho infilate nel freezer  aspettando l’occasione giusta per preparare i souvlaki.
La svolta! :) è arrivata una sera in cui ero stanchissima, non avevo nessuna voglia di mettermi a cucinare e stavo seriamente pensando di ordinare una pizza a un delivery; mi sono trattenuta al ricordo  di tutte le volte che l’ho fatto e  che poi mi sono pentita. La pasta la digerisco con fatica, la sete mi tormenta  per tutta la notte, insomma, trovare una pizza decente non è roba semplice e si sa.
E’ proprio quel momento che mi sono ricordata delle pites nel freezer e ho pensato di provarle nel modo che segue e che avevo letto da qualche parte ma non mi ricordo più dove.


Prendere  delle pites, scongelarle (ci vuole meno di  mezz’ora) e spalmare sopra della salsa di pomodoro, come si fa con la pizza. Spargere della feta sbriciolata con le mani e distribuire qua e la qualche fetta di salame. Io ovviamente ho usato il “salami aeros” che avevo comprato qualche giorno prima. Fare un giro di olio e infornare a 190 gradi per 7 – 8 minuti. Non serve salare dato che sia la feta che il salame sono molto sapidi.
Togliere dal forno e mangiare come una pizza, oppure arrotolare  e mangiare come un souvlaki.
La faccio breve: le pites sono già finite, anche perché condite in altri modi le ho usate come un antipasto veloce, e sabato andrò in macchina questa volta a prendere un pacco da 25!!!!




e se ci aggiungessi un bel "grazie"?

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Cosa ha a che fare questa notizia con un blog dedicato alla Grecia?  Niente, salvo che ho letto la notizia in un sito greco e poi sono andata a cercare l’originale. Nei crediti tutt’e due!

Le buone maniere non costano nulla!  Al vecchio adagio possiamo aggiungere invece che la scortesia costa cara.  Al meno al piccolo cafè nizzardo “La Petite Syrah”,  dove se ordini “un caffè” paghi 7 euro. Se aggiungi la parolina magica “per favore” il conto scende a 4,25  mentre se l’ordinazione è accompagnata da un caloroso “ buongiorno”  1, 40 è tutto quello che dovrai sborsare per la stessa ordinazione.
Abbiamo cominciato per gioco, racconta Fabrice Pepino, manager del locale, perché eravamo stufi dalle brusche maniere dei clienti, soprattutto all’ora di pausa pranzo, quando arrivano stressati dal lavoro in ufficio. A nostro modo gli diciamo “calmati e goditi la vita”. So che sono in tanti a dire che i camerieri francesi non hanno buone maniere, continua, ma è anche vero che pure tanti clienti possono essere scortesi.
Pepino è intenzionato a continuare con la sua severa politica, ma pare che ora ottiene molti più sorrisi e questo è ciò che importa.

credits: clickatlife
              the independent
              la foto
  



halloumi e zucchine alla piastra

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Il halloumi è il formaggio cipriota per eccellenza e ormai il suo nome è praticamente sinonimo di Cipro.  Come tanti altri formaggi, ha un’origine secolare e leggendo le varie testimonianze, pare che la tecnica della sua produzione sia rimasta pressochè invariata nei secoli. I ciprioti preferiscono il halloumi di latte misto, caprino e ovino,  dalla consistenza morbida  (Panaretos A. 1965) così quei  pastori che avevano greggi di sole pecore andavano alla ricerca di  latte caprino da aggiungere.
Durante la dominazione veneziana  e precisamente nel 1554, lo storico Florio Bustron ci informa che il halloumi si preparava nel mese di Marzo, quando il latte era abbondante mentre nel mese di Luglio che il latte scarseggiava si preparava il   trachanas (sorta di pastina). “Li calumi per tutto Mazzo. El Tracana per tutto Luio”. (Grivaud 1989, 590).
Qualche anno dopo, nel 1563, l’ebreo Elias di Pesaro che ha vissuto a Famagosta, osserva che per  la produzione del formaggio  si mischiava  latte ovino, caprino e vaccino.
Nella prima metà del 18mo secolo,  i viaggiatori John Heyman e Richard Pococke  fanno riferimento al caprino halloumi come conosciutissimo e amatissimo in Syria e Palestina, l’unico formaggio buono che si poteva trovare dal quelle parti,  presentato in pezzi piccoli e tozzi. Gli stessi viaggiatori informano che il formaggio si conservava nell’olio finchè era fresco,  pratica vigente tutt’ora   dato che a  il formaggio si conserva in apposite giare nel siero con l’aggiunta di olio per conservarlo per lunghi periodi.


Ingredienti:
-          zucchine verdi
-          1 spicchio di aglio tagliato a metà
-          2 cucchiai di olio evo
-          prezzemolo tritato
-          menta tritata
-          pepe macinato fresco
-          sale
-          halloumi tagliato a fette di circa 1 cm.
Procedimento:
Sfregare una ciotolina con lo spicchio d’aglio dalla parte tagliata, versare l’olio, salare con parsimonia (nel caso salare separatamente le zucchine  una volta cotte) e aggiungere il prezzemolo e la menta. Mescolare. Lavare le zucchine e tagliarle orizzontalmente a fette sottili. Con un pennello spennellare le zucchine con l’olio aromatizzato  e cuocerle sulla piastra calda per un paio di minuti per lato.
Stesso trattamento e cottura per il halloumi. Servire con delle fette di limone.

Nota: ho grigliato anche qualche cipollotto ma non a tutti piacciono. A me si! 



 credits: diatrofi

un francese ad Atene

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Per la maggior parte dei greci il tacchino ha definitivamente messo in esilio il tradizionalissimo maiale sulla tavola natalizia, diventando di sua volta piatto tradizionale. Per me pure è così, tanto che se penso a Natale la prima cosa che mi viene in mente è un borghese “tacchino ripieno con castagne e pinoli”.  Ma Atene non è abitata esclusivamente da greci  così, chi vuole allontanarsi un poco dalla tradizione vecchia o più recente,  può trovare proposte e risposte nelle cucine altrui.
La rivista “athinorama” ha chiesto a 4 chef (3 greci e un francese) di raccontare il loro Natale e io ho scelto di curiosare nella cucina del francese.

Olivier Campanha è un chef francese che da qualche anno si è stabilito ad Atene per ragioni familiari. Di che genere lo ignoro e francamente non mi impiccio. Al ristorante/bistrot  F&W by Olivier Campanha a Kolonaki,  nel centro della città, gli ateniesi  possono provare  la vera cucina francese  con ingredienti autentici francesi.
Raccontando il suo Natale, ricorda che l’ha sempre festeggiato con i suoi famigliari 2 giorni dopo per ovvi motivi di lavoro. Natale per lui significa trovarsi con la famiglia, con chi si vuole  bene, mangiare e bere senza limiti!  In Grecia gli manca la terrine  foie gras e lo champagne a costi ragionevoli.
Alla sua tavola quest’anno  ci sarà la terrine foie gras, ostriche fines de claires con salsa agrodolce, bourguignonne di manzo con tartufo del Peloponneso  e il classico tronchetto di Natale.
Per il pranzo natalizio dei lettori propone croustillant de saumon au poivron rouge , salade d’huitres fines de claire e gigot de chevreuil aux fruits d’hiver. (salmone in fillo con peperoni rossi , insalata di ostriche, cosciotto di cervo con frutta invernale). Accidenti!  In francese ogni cosa diventa nobile!!!
Per un pranzo low cost  invece propone maiale ripieno di albicocche secche e insalata di quinoa cucinata con la ricetta del cuscus.


 croustillant de saumon au poivron rouge
-          16 fogli di pasta fillo
-          4 tranci di salmone
-          1 grande peperone rosso oppure 2 medi
-          formaggio tipo chevre
-          erba cipollina oppure cipollotto tagliato fine
-          oio evo, sale, pepe
Accendere il forno a 210°. Lavare il peperone e tagliare a fettine sottili.  Togliere spine e pelle dai tranci del salmone,  tagliare in due, salare e pepare.  Tagliare la fillo in quadrati di 15 x 15. Oliare tutti i pezzi e mettere due insieme, uno sopra l’altro. Adagiare metà trancio di salmone,  alcune fettine di peperone e formaggio tagliato a cubetti. Chiudere nella forma che si desidera e cuocere per 20 minuti. Servire caldi, decorati con l’erba cipollina o il cipollotto, e mi sa che questa la provo!


il Natale di Elias Skoulas

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Beh, dopo aver postato il Natale di un francese non era pensabile non postare anche quello di un greco. Sempre dalla stessa fonte, ho scelto lo chef Elias Skoulas, anche perché diverso tempo fa ho postato un paio di sue ricette.
Mi sta molto simpatico anche televisivamente, ma perché Santo Cielo quel nome al ristorante????

Le sue caratteristiche personali di esuberanza, spontaneità e sincerità si estendono anche alla sua cucina caratterizzata da  influenze dalle cucine di tutto il  mondo e lo  stile personale di abbinare gli ingredienti. Pur  occupandosi  di cucina da tanti anni è da qualche anno che è venuto alla ribalta.
Attualmente lo si trova  nelle cucine del Food Mafia a Glyfada.

Ricorda che da piccolo e anche da adolescente la tavola natalizia era la più importante di tutto l’anno.  La famiglia si radunava presto e mentre le donne preparavano la tavolata, gli uomini discorrevano di calcio e politica! Immancabile l’albero con i regali e la musica come sottofondo. 
Il tacchino lo ama solo quel giorno, ripieno di castagne e pinoli con le patate novelle mentre per il resto dell’anno no, a meno che non lo cucini “mole poblano” con cioccolato e riso piccante.
Alla tavola di Natale vuole  la famiglia, amici, buona compagnia e sicuramente melomakarona e kourabiedes, un bel arrosto, del buon vino. Siccome però quel giorno lavora, offre a se stesso un po’ di foie gras accompagnato da cioccolato amaro e un bicchiere di champagne.

Per un pranzo low cost propone ravioli ripieni con parfait di fegatini di uccellini e tournedos di coscia di tacchino su pane tostato con uovo di quaglia e salsa di porcini e marsala, insalata verde rossa e gialla con qualsiasi ortaggio del mercato,  melomakarona  tuffati in ganache al cioccolato. Forse sembra molto “gourmet” e di conseguenza caro, ma facendo due conti, non supera gli 7 – 8 euro a persona, afferma (con i costi in grecia ovviamente, dico io)!
La sua tavola quest’anno prevede cinghiale stufato, tacchino ripieno, plateau di formaggi, pane fatto in casa, alcune bottiglie di un buon vino rosso e una pavlova con salsa di fragole e crema chantilly.
Per la tavola dei  lettori propone creme brulee  salata con funghi, insalata di patate con lenticchie beluga e trota affumicata, fusi di pollo ripieni con zucca, bacon e ricotta.


creme brulee salata con funghi
-          250 gr. funghi freschi
-          ½ tazza di latte
-          4 tuorli
-          150 ml latte
-          150 ml di panna
-          sale, pepe, noce moscata
Pulire  i funghi, ridurli in poltiglia nel blender e lascarli scolare bene nello chinois. Far bollire leggermente il latte con la panna senza che raggiungano alte temperature. Ritirare dal fuoco  e versare la poltiglia di funghi ben scolati mescolando delicatamente. In una ciotola sbattere leggermente i tuorli e versare gradualmente il composto di funghi tiepido.  Salare, aggiungere pepe e noce moscata. Distribuire in 4 pirofile monoporzione e sistemare su una teglia da forno. Versare nella teglia acqua calda fino a un centimetro dal bordo delle pirofile e cuocere per 1 ora circa. Togliere dal forno e lasciare che arrivino a temperatura ambiente. Cospargere dello zucchero bruno e caramellare con il cannello.
Nota mia: non avendo preparato la creme brulee  non so se il latte che è elencato 2 volte è un errore oppure no,  per ora mi sono limitata a tradurre.


christopsomo (il pane della vigilia)

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I kalikantzari sono degli esseri  del folclore greco, piccoli, brutti, neri, pelosi, con gli occhi rossi e le zampe di cavallo. Durante tutto l’anno dimorano negli inferi, dove segano l’albero che regge la terra con l’intento di farla cadere. Quando stanno per compiere il lavoro, salgono sulla terra per festeggiare disturbando gli uomini ma non sono in grado di fare del male, dato che sono stupidi e dispettosi. Entrano nelle case dal camino e mangiano le pietanze, spargono in giro la farina, fanno ballare la gente fino allo sfinimento, distruggono i mobili. Allo sorgere del sole si nascondono perché non sopportano la luce del sole.  Spesso si nascondono tra le ceneri del camino e per questo durante  il “dodekaimeron” (i 12 giorni) com’è chiamato il periodo che comprende la vigilia di Natale fino all’Epifania in tutte le case arde un bel fuoco acceso al camino e le ceneri vengono buttate via con grande scrupolosità.
Secondo la credenza  popolare  salgono sulla terra la vigilia di Natale e  vi restano fino all’Epifania, quando con la Benedizione delle acque vengono rispediti agli inferi, dove trovano l’albero che stavano segando rigenerato, vanificando così il loro lavoro. Cominciano quindi di nuovo a segare, fino al prossimo Natale, dove si ripete il tutto, da qui all’infinito.
Per la loro provenienza ci sono diverse versioni, tra cui quella che li vede in linea continua con la mitologia greca dei satiri di Pan e Dioniso, oppure dei centauri.  L’etimologia del nome è  vede  tante versioni, tutte verosimili ma nessuna certa.
Secondo un proverbio, chi  “è nato nel periodo dei kalikantzari” è  una persona che non prende iniziative e ha paura delle responsabilità.


La vigilia di Natale ogni massaia prepara il “christopsomo” pane di Christo. E’ un pane rituale, come ne conta tanti la tradizione greca, fatto con del lievito madre preparato con l’acqua nella quale è stato macerato il basilico distribuito durante una grande festa dell’ortodossia, ma di questo magari parlo un’altra volta.
Può essere a forma di pagnotta o ciambella  e decorato con disegni carichi di simbolismi con variazioni da regione a regione, da casa a casa.  Dopo l’obbligatoria croce, si possono formare delle B che simboleggiano l’aratro con i buoi, delle spighe di grano, grappoli e foglie di uva, delle case, in breve quello che porta ricchezza e prosperità alla singola famiglia.
La preparazione è molto semplice, alla stregua di un pane aromatizzato, a volte arricchito con uvette, canditi, frutta secca.  Il mio è molto semplice, aromatizzato con mastiha e mahlepi ma ovviamente si possono omettere. Importante cogliere l’essenza.

Preparare un poolish con 100 gr. di farina tipo manitoba, 100 gr. di acqua appena appena tiepida e 2 grammi di lievito di birra. Sciogliere il lievito nell’acqua e versare la farina. Mescolare, coprire e lasciare lievitare per circa 3 ore, ma ovviamente dipende dalla temperatura. In ogni caso quando sarà bello gonfio è pronto.
Far bollire per due 3 minuti un cucchiaino di semi di finocchio in 125 ml. di acqua e filtrare. Lasciare raffreddare.

Versare l’acqua dei semi di finocchio in una bacinella e sciogliere 5 grammi di lievito di birra. Aggiungere 50 gr. di zucchero semolato, 200 grammi di farina 00, mezzo cucchiaino di mastiha e mahlepi pestati a polvere nel mortaio e tutto il poolish. Impastare bene per una decina di minuti, formare una  palla e mettere a lievitare fino al raddoppio del volume. La mia coperta con una plaid, dopo 2 ore e mezza era pronta.

Prendere l’impasto, sgonfiarlo, tagliare una parte per le decorazioni formare una pagnotta. Con la pasta per la decorazione formare dei cordoncini e fare una croce in mezzo. Mettere delle noci con il guscio sicuramente una in mezzo poi distribuirle come si vuole.  Generalmente si mette una per ogni membro della famiglia, esclusa quella centrale. Lasciare lievitare ancora finchè non diventi una pagnotta bella gonfia, spennellare la superficie con un uovo leggermente sbattuto e infornare a forno caldo a 190 gradi per circa 40 minuti. Se la superficie diventa troppo scura, coprire con della carta stagnola e continuare la cottura.

In alcune regione si mangia la vigilia, in altre il giorno di Natale. Noi l’abbiamo mangiato prima ma lo preparo anche alla vigilia, ovunque io sia.




pollo ripieno per gli auguri di Natale / kotopoulo ghemistò

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Vero che la tradizione, recente si, ma pur sempre di tradizione si tratta, vuole un tacchino ripieno per il giorno di Natale.  Ma anche il pollo fa la sua bella figura inoltre non richiede interminabili ore di cottura.  Uno o più polli sostituiscono egregiamente il  tacchino ed ecco la ricetta del famoso “tacchino ripieno di Natale ” con qualche leggerissima variazione visti i mirtilli e il marsala e il vialone nano.
Se poi qualcuno volesse provarla con un tacchino, basta aumentare proporzionalmente le quantità del ripieno  rispetto al peso del tacchino e calibrare ovviamente i tempi di cottura che normalmente sono di 1 ora per chilo di pollame a 180°, un poco di più se la temperatura è più bassa.
Con questa auguro a tutti un sereno Natale con gioia salute e prosperità.

Ευχομαι σε ολους καλα Χριστουγεννα, με υγεια, χαρα και  οσο το δυνατον πλουσιοπαροχα.
  

Ingredienti:
-          1 pollo di un kilo e mezzo con i  suoi fegatini
-          la scorza di un limone grattugiata
-          sale
-          brodo di pollo (in alternativa acqua)
-          burro
Per il ripieno:
-          200 gr. di carne trita
-          i fegatini del pollo
-          60 gr. di riso (io ho usato il vialone nano)
-          2 scalogni
-          4 cucchiai di olio evo
-          2 cucchiai di burro
-          1 cucchiaio di uvetta bionda
-          1 cucchiaio di mirtilli essiccati
-          2 cucchiai di pinoli
-          1 cucchiaio di mandorle spellate a lamelle
-          8 castagne lessate
-          1 bicchiere da vino di marsala semi secco
-          1 bicchiere di vino bianco
-          4 grani di pimento pestati nel mortaio
-          appena un pizzico di cannella
-          poco sale

Procedimento:
Lavare il pollo, tamponarlo bene e massaggiarlo bene su tutta la superfice con la scorza del limone mischiata con il sale. Salare pure l’interno, coprire e mettere in frigorifero per una notte.
Mettere in ammollo nel marsala le uvette e i mirtilli per 2 ore.  Tritare gli scalogni e in una padella  farli appassire nel burro con l’olio.  Tritare i fegatini  e aggiungerli nello scalogno insieme alla carne trita. Rosolare,  unire il riso e tostare. Sfumare con il vino bianco. Scolare la frutta secca, filtrare il marsala e tenere da parte.
Unire tutta la frutta nella  carne, aggiungere il pepe, la cannella e un’idea di sale già che il pollo è stato salato, mescolare e versare 2 mestoli di brodo di pollo caldo. Quando il brodo sarà assorbito, spegnere e lasciare raffreddare.
Togliere il pollo dal frigo 1 ora prima di cucinarlo. Cucire con ago e filo l’apertura del collo e riempirlo a tre quarti con il ripieno che si sarà raffreddato.  Il ripieno che avanza lo lasciamo nella padella per finire di cucinarlo più tardi.  Cucire l’apertura  del pollo e adagiarlo ben legato in una teglia.
Versare sul pollo il marsala filtrato, spargere qualche fiocchetto di burro qua e là e versare sul fondo della teglia 1 mestolo di brodo.
Infornare a 200 gradi per 20 minuti, abbassare a 170 e cuocere ancora per 2 ore.  Ogni tanto bagnare il pollo con il fondo di cottura. Se dovesse imbrunirsi troppo, coprirlo con la carta stagnola e continuare la cottura.

Togliere dal forno e lasciare riposare per un quarto d’ora. Mentre il pollo riposa,  finire di cuocere il resto del ripieno rimasto nella padella con il brodo di pollo.  Sistemare il pollo su un piatto di portata, contornare con il ripieno. Deglassare il fondo di cottura con mezzo bicchiere di brodo, filtrare e servire. 


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